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Cyber-ego: high-tech sotto accusa

Critica spietata ma ironica e necessaria alle 'religioni' in voga a Silicon Valley.

Bernardo Parrella

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"E' il sesso il maggior problema di quanti emigrano in Silicon Valley. Per coloro che vengono a lavorarvi da ogni stato USA e paese del mondo, è *difficile* connettere con qualcuno... Meglio starsene a casa e navigare tra i tanto amati siti web." Questo il succo di un pezzo tanto arguto quanto ironico apparso mesi addietro su Salon.com, rivista cultural-digitale della Bay Area, a firma Paulina Borsook. La quale - 46 anni, da tempo residente a Santa Cruz, poco a sud di San Francisco, ma dal passato sulla East Coast, inclusi gli anni '80 a Manhattan - da tempo va seguendo fatti e misfatti della cultura high-tech per come si dipana in questa area privilegiata della Northern California. Percorso giunto ora a un punto vitale, con la recente uscita del libro in cui condensa le sue analisi questi anni. Titolo: Cyberselfish, a critical romp through the terribly libertarian culture of high-tech. Ovvero: Cyber-ego: una cavalcata critica nella cultura terribilmente libertaria dell'high-tech.

Un ruolo, quello del critico spietato di abitudini e atteggiamenti dei computer geek contemporanei, che Paulina Borsook si è trovata a ricoprire quasi per caso scrivendo sul mensile Wired fin dai suoi tempi "gloriosi", anni 93-95. Uno di quei saggi s'intitolava, ad esempio, "Love over the wires", uno dei primissimi resoconti pubblici di una storia d'amore nata e sviluppatasi online. Da allora, continuando a scavare a fondo nel mondo dei digerati DOC, i suoi pezzi sono apparsi in quotate pubblicazioni cartacee (Mother Jones, Newsweek) e ancor più elettroniche (Suck, Salon, Feed). Insime a quello di cui sopra, significativamente chiamato "No sex, please, we're geeks" (Niente sesso, prego, siamo geeks), il suo nome è balzato alla cronaca per via di un altro azzeccato articolo: "How the Internet ruined San Francisco" (In che modo Internet ha rovinato San Francisco). Articolo che ha provocato una valanga di commenti sulla testata ospitante (ancora Salon), sia pro che contro, e che ha aperto ancor più le porte all'uscita del suo libro.

Un'opera, va detto subito, per nulla facile e immediata, contrariamente alla miriade di volumi su tecnologia, Internet e dintorni che fanno a gara nell'offrire il tipico piattume culturale di chi vuol vendere a tutti i costi per la massa. E se è vero che ogni scritto di Paulina Borsook richiede un buon dizionario d'inglese a portata di mano (per quello inglese-italiano c'è sempre tempo), superato un attimo di smarrimento ciò si rivela certamente elemento stimolante. Lo stesso dicasi per eventi quali ascoltarne un'intervista alla radio e scambiarvi quattro chiacchiere de visu: un continuo rincorrersi di riferimenti culturali a tutto campo, sani contorcimenti mentali per meglio comprendere il fluire dei nostri tempi. Attenzione, quindi: non fa certo eccezione - tutt'altro - questo "Cyberselfish," la cui gestazione dura da oltre due anni, tra svariate vicissitudini, inclusa mancate pubblicazioni in extremis, narrate non senza la tipica vena ironica nell'omonimo sito web, oltremodo ricco di recensioni a latere e altri spunti interessanti.

(Nota : per chi lo avesse perso, una versione condensata del pensiero di Paulina Borsook è presente, in italiano, nell'antologia gens electrica del 1998).

Sostanzialmente, sul banco degli imputati è il "tecnolibertarianesimo", la filosofia-guida per la stragrande maggioranza dei digerati, coloro che, nelle parole della stessa autrice, "difettano enormemente di compassione, sono rabbiosamente anti-stato e tremendamente opposti a ogni tipo di regolamentazione." In pratica, lo zoccolo duro della rivoluzione digitale sponsorizzata dallo stesso Wired di Louis Rossetto nonché della variegata anima libertaria che fin da sempre sottende alla penetrazione di Internet al di fuori di ogni zampino governativo. Si va dalle tesi di George Gilder, critico conservatore dell'era Reagan amante del microchip, ai cypherpunk, ferventi difensori della crittografia e della privacy. Tutti fronti, a scanso di equivoci, che hanno prodotto (e continuano a produrre) elementi teorici e pratici d'indubbia importanza, ma che finora non stati passati al vaglio dell'analisi più serrata come si conviene a un fenomeno sociale di portata così ampia come quello innescato dall'avvento del digitale.

Non a caso nella locandina che fa da supporto al lancio di "Cyberselfish" si leggono frasi quali: "Se una religione altro non è che un insieme di credenze culturali, per lo più inconsce e condivise tra i suoi aderenti, ecco allora la guida alla religione di Silicon Valley." Forse meglio, alle diverse diramazioni religioni diffuse nella valle al silicio, dagli adoratori del free market agli antisociali per antonomasia ai giovanissimi neo-ricconi - un nugolo di individui, per lo più di genere maschile, comunque uniti sotto l'egida del pronome personale "io".

E' infatti questa diffusa sensazione di egoismo per nulla strisciante la pietra miliare della sub-cultura high-tech. Ambito del tutto particolare, in cui nessuno o quasi vede di buon grado alcuna interferenza dello stato, si preferisce tenere al minimissimo le inter-relazioni umane e non esiste alcun problema a seguito della rivoluzione informatica. Meno che mai ci si preoccupa di dinamiche ed effetti pure assai centrali in tale contesto, quali disoccupazione, profitti anche elevatissimi, affitti e qualità della vita spesso insostenibili. Risvolti negativi sulla trama del quotidiano sociale, sia a livello locale sia globale, che ben si riflettono, tra l'altro, in un recente esempio: le recenti pressioni dei dirigenti di Silicon Valley per una maggiore disponibilità di ingegnerei e programmatori stranieri, con conseguente ingolfamento nella gestione dei relativi visti temporanei di lavoro. Tipico caso di quello che la stessa Paulina Borsook definisce "imperialismo educativo". In altri termini, i tecnolibertari non vogliono sborsare alcuna tassa per l'educazione, poiché non credono nel sistema delle tasse; ergo, si preferisce esportarne gli elevati costi a paesi quali Taiwan o India salvo poi richiederne mano d'opera altamente specializzata ad esclusivo beneficio dell'industria USA.

Come mai simili attitudini hanno preso saldamente piede nell'intelligentsia informatica? Questione complessa che, al solito, suscita ulteriori domande anziché semplicistiche risposte. In ogni caso, occorre scrollarsi di dosso apatia e cinismo per tuffarsi alla scoperta di analisi assai meno scontate di quel che capita di trovare in giro oggigiorno. Se l'high-tech si avvia davvero alla sonante conquista del mondo per come lo conosciamo, niente di meglio che dotarsi di strumenti critici ricchi di ironia ma comunquer affilati.

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 Paulina Borsook
Cyberselfish, a critical romp through the terribly libertarian culture of high-tech
Public Affairs, maggio 2000
pag. 270, $ 24
ISBN: 1-891620-78-9

paulina b.

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